mercoledì 25 dicembre 2013

Valerie a Tyden Divu, di Jaromil Jires (1970)



Favola Sovietica, in cui la tredicenne Valeria sogna ad occhi aperti vampiri cattopratiarcali, matriarche mefistofeliche e giovani martiri.

Jires, dirige un'opera assolutamente fabulistica e simbolica, in cui la linearità della narrazione si scontra con il perenne simbolismo, letterario, mistico, sacrale che colpisce lo spettatore, risultando spesso cripticoLa messa in scena è naif, speso quasi teatrale, al quale molte produzioni, soprattutto dei primi anni Settanta ci hanno abituato ( Makavejev e Parajanov, per citare due dei più noti), che potrebbe allontanare molti dei sopracitati spettatori, forse troppo ancorati a canoni meramente occidentali ed anglosassoni.
 Le figure, se pur austere fin dal principio, si mostrano a seguito sotto le sembianze maligne tramite gli  ingenui sogni ad occhi di Valerie, che rappresentando però, nel loro estremo candore, un'aberrazione insita nel sistema patriarcale sovietico, nell'uomo adulto e nel matrimonio come imposizione sociale e famigliare in cui la giovane è vittima prostrata al bisogno d'immortalità dell'uomo non più giovane, il patriarca vampiro che brama il letterario sangue virginale per non appassire, come le mele in fase di putrefazione che ospitano in un certo punto dell'opera, il corpo della martirizzata Valerie. 
Il sacerdote è nero, su di esso riflette l'ombra del logos biblico, ombra che cala anche sul padre e la madre che vanno onorati, sul missionario che ha assimilato la tradizioni cannibaliche, dimenticando i sacramenti, e sostituendo il cristo in croce con i denti di una belva tropicale. 
Tutto è perturbato, solo Valerie e Orlik il martire, riescono a conservare il loro fiabesco candore, tanto da far risalire la figura dell'adulto mostro a quella di una esile e assolutamente naturalistica moffetta, in contrasto assoluto con un dramma e un'aberrazione unicamente umana.








































venerdì 13 dicembre 2013

Amore e Morte Nel giardino degli Dei, di Sauro Scavolini (1972)



"Una morte dolce, freudiana, un po' demodè, come lei"

Ritengo che i fratelli Scavolini siano a livello artistico, tra le figure più trascendentali di un certo cinema di genere made in Italy
A Romano, il più prolisso a livello produttivo dei due ( Sauro S., a cui si deve l'opera a cui è dedicato il post, vede come unica produzione per il cinema il suddetto il lavoro), si devono due lavori tra i più morbosi e allo stesso tempo lirici della decade settanta\ottanta, a lui si deve infatti il gotico "Un Bianco Vestito per Marialè" (1972) e lo slasher quasi naturalistico "Nightmares in a Damaged Brain" ( 1981, mai distribuito in Italia),  ma consuetudine vuole che le opere dei due registi vengano quasi completamente trascurante alla loro uscita, per essere poi recuperate e rivalutate qualche decade dopo, senza però entrare a pieno diritto tra le pietre miliari del genere.
Amore e Morte è il dramma borghese per eccellenza, la villa, l'incesto e la dionisiaca catarsi finale, in cui la relazioni sono canonicamente portatrici di Thanatos in quanto l'Eros è corrotto, marcio o semplicemente non considerato dalla componente (edonisticamente) umana del film.
I valori non sono disgregati, sono semplicemente diventati ipertrofici tanto da  riportare il legame fraterno al proprio archetipo, che non può che esser per assoluto contrasto il proprio opposto: l'incesto tribale che diviene razionalmente borghese e l'atto di dare ( e ricevere) morte non è più semplicemente esternazione della bestialità umana, ma un atto letterario, come atto performativo di un Maldoror o il perire in un'opera di Shakespeare. Il film si basa su una serie di umani archetipi decontestualizzati e riportati in un salotto aristocratico dei primi anni '70, richiamando mostri antichi come il cosmo e nuove e disgreganti infamie.
Scavolini riesce a dimostrarsi un artista freddo, perturbante, pregno del più alto voyeurismo, che porta lo spettatore ad essere empaticamente  coinvolto ,invaso, schiacciato dal violento lirismo, conscio del suo essere morbosamente poetico.
L'elemento perturbante, violento e sessualmente aleatorio trasborda dalle inquadrature, siamo noi, gli spettatori a riascoltare soli con noi stesi il vecchio nastro ritrovato nella magione borghese, ma siamo sempre noi ad essere esclusi dal legame esclusivamente fraterno dei due protagonisti, noi come gli altri personaggi siamo solo ostacolo alla sublimazione, e com tali pedine opponenti da sradicare dal percorso che porta all'inevitabile ed escatologica situazione finale

L'opera di Scavolini è' il "Servo" di Losey che incontra il Bava più feroce, è un'opera esteticamente eclettica, alle volte quasi pittorica, portatrice di disgregazione, e sicuramente non inferiore ad altre opere analoghe nei contenuti e ben più osannate.  Da vedere assieme al "Bianco Vestito di Marialè", precursore e alterego quasi fiabesco dello stesso Amore e Morte.


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ENG

For International Pleasure:

From an artistic point of view, I assume that brothers Romano and Sauro Scavolini can be considered as two of the most trascendental figures in the scene of the made-in-Italy Cinema.
In regard to their films' production, the longer winded one is Romano, who gave birth to two of the most morbid and lyrical works in the '70s, compared to his brother who published only "Amore e Morte", which is the movie this article is going to concern about. In effect both the gothic "Un Bianco Vestito per Marialè" - 1972 and the naturalistic "Nightmares in a Damaged Brain" - 1981 (which has never been distributed in Italy) are Romano's productions, but it happened that their works were not noticed at the time of their publication and it takes them few decades to be rediscovered and taken into consideration, even if these works have never reached place among the most important masterpieces of this artistic genre.
"Amore e Morte" represents the bourgeois drama in all its features, several are the slides:  the villa, the incest and the final unrestrained catharsis, where the relationships are soaked of Tanathos, since its counterpart Eros is corrupted and not considered by the characters of this play.
Moreover, values are not disintegrated, but they simply became abnormal in the way that they can be relinked to their archetype: the tribal incest evolves itself into a rational bourgeoisie and the act of both causing and beeing object of death is not just the showing of human bestiality, but it also represents a literary act such as a performance of Maldorov or, an additional example, the fact of diyng in one of Sheakspeare's masterpieces. The film is based on a sequence of decontestualized human archetypes which are dropped into an aristocratic salon of the early '70s.

Scavolini represents himself as a detached and perturbated artist and he has the power to make the spectator be involved, invaded  and councious of the massive poetical feeling.
Scavolini's work is aesthetically ecclectic, bearer of disgragation, somehow pictorial and it can never be considered inferior to any other work belonging to this genre.