sabato 8 febbraio 2014

Stereo, di David Cronenberg (1969)

"Stereo" è un'opera ossimorica,
in cui la multidirezionalità della comunicazione figurante nel titolo viene estirpata dal suo significato etnologico, negando all'Anthropos l'uso paralinguistico della phonè, in quanto facoltà del tutto accessoria e da destinarsi all'uso solamente empirico\referenziale dello scienziato-demiurgo, guida evanescente senza una collocazione fisica nello spazio-tempo, delineata solo dal logos scientifico\fabulistico.
I soggetti ad essere guidati invece, al contrario dell'erudito, esistono unicamente in quanto corpi collocati in un spazio: sono cavie afone, vaganti per i lunghi corridoio del bauhausiano edificio, che la mdp metaforizza portando a facili pittoriche analogie, e rendendo la struttura ospitante la "Canadian Academy for Erotic Inquiry" una sorta di desolante e silente incubatrice.
La Erotic Inquiry genera mostri ma in favore del progresso (germe ricorrente in Cronenberg, pensiamo a "Brood" o "Rabid", in cui ricorre la qui analoga struttura\incubatrice, come sorta di madre mostro archetipo, in cui si pecca in nome del progresso), sottoponendo le cavie a un'induzione biochimica cerebrale atta a sviluppare le potenzialità telepatiche dell'individuo ("Scanners", quasi una decina d'anni dopo), al fine di svuotarlo dalle consuetudini comportamentali (I totem e i tabù freudiani), aprendo così le porte delle (infinite?) percezioni ed espressioni creative dell'Anthropos pre civilizzato\stigmatizzato.
Il tutto avviene tramite l'uso di droghe e afrodisiaci, che inizialmente paiano portare le cavie ad una sorta di sessualità a tre dimensioni, a una comunicazione primigenia, pura, ma che finiscono per rilevarne (inevitabilmente) la totale fasullità dell'ego, ancorato alla reciprocità nei confronti dell'altro, disgregato dalle mille sfaccettature del suo essere sociale, il suo costante adeguarsi a costo dello smembramento, ai sorrisi degli altri.
Questa è la Rivoluzione Sessuale di Cronenberg, il sentire del decennio 60' che prende coscienza di se stesso, del proprio Io, spaventandosi a morte per il proprio corpo difforme, solo dinnanzi al monolita della libertà emozionale e sensoriale, che lo rende idrofobo in quanto specchio dell'inettitudine totale, pronto ad autodistruggersi.